di Gabriele Arosio (chiesa battista di Bollate)

È in questi giorni nelle sale un film di cui tutti stanno parlando. Questo film racconta la storia di Oppenheimer, fisico teorico e capo dei programmi di sviluppo delle bombe atomiche.

Ne rappresenta tutti gli incubi: un uomo che lavora pensando di contribuire ad una causa di pace, crede nella deterrenza, ma è costretto poi ad ammettere di aver effettivamente avviato una reazione a catena, la corsa agli armamenti nucleari, che avrebbe distrutto il mondo

Merita in questi giorni di essere ricordata la storia di Joseph Rotblat, anche lui fisico teorico e anche lui collaboratore dei programmi di sviluppo delle bombe atomiche.

Nasce a Varsavia il 4 novembre 1908 da genitori di origini ebraiche ma acquisisce la cittadinanza britannica nel 1946. Si laurea in fisica nel 1932.

Fra il 1934 e il 1939 si dedica allo studio della radioattività. Nel 1939 si trasferisce in Inghilterra per conseguire il PhD e poi lavorare all’Università di Liverpool. Lascia per l’ultima volta la Polonia la sera prima dell’invasione tedesca, il 31 agosto del 1939. La moglie che sarebbe dovuta partire qualche giorno più tardi, non riuscirà mai più a raggiungerlo.

L’invasione della sua terra da parte dei tedeschi, con la loro schiacciante superiorità militare, è un avvenimento che lo impressiona profondamente e lo convince a lavorare alla realizzazione della bomba atomica con la consapevolezza “che possedere delle armi atomiche e, se necessario, minacciare una ritorsione, fosse l’unica opzione per impedire a Hitler di usare la bomba”.

Nel gennaio del 1944 si trasferisce negli Stati Uniti per partecipare al “Progetto Manhattan” per la realizzazione della bomba atomica dove lavora sotto la direzione di Oppenheimer.

Un giorno Rotblat ha modo di ascoltare il generale americano Groves sostenere che il vero scopo del “Progetto Manhattan” era quello di superare in potenza bellica la Russia per poi dominarla. Nell’ottobre dello stesso anno, Rotblat appena saputo che i tedeschi hanno rinunciato alla realizzazione della bomba, ritiene che non sussistono più le motivazioni che lo avevano mosso ad aderire al progetto e decide quindi di abbandonarlo. Dopo Hiroshima e Nagasaki si sente “tradito dalla bomba atomica”. Vuole essere “uno scienziato che lavora per il bene dell’umanità e non per la sua distruzione”. Matura quindi, negli anni Cinquanta, la decisione di abbandonare lo studio della fisica pura, dedicandosi invece alle applicazioni dell’energia atomica in campo medico e sanitario.

Lavora agli effetti delle radiazioni sugli organismi viventi. E questo lo porta a un interesse per il fall out nucleare e quindi verso i limiti di sicurezza delle radiazioni ionizzanti. Nel 1955, dimostra che l’estensione della contaminazione causata dagli Stati Uniti d’America con il test nucleare all’Atollo Bikini era stata di gran lunga superiore a quella dichiarata ufficialmente. Il lavoro di Rotblat è ripreso dai media e contribuisce al dibattito pubblico che porta alla fine dei test atmosferici per effetto della sottoscrizione del Trattato di messa al bando parziale del 1963.

Nel marzo del 1954, subito dopo l’esplosione della prima bomba ad idrogeno, Rotblat incontra per la prima volta Bertrand Russell discutendo con lui delle catastrofiche conseguenze di una guerra nucleare. Russell a sua volta ne parla alla radio, nel Natale del 1954 e promuove un Manifesto pubblico che viene firmato da Albert Einstein poco prima di morire e da altri otto premi Nobel che vuole informare il pubblico e i governanti degli immani pericoli connessi ad una guerra nucleare. Allo stesso tempo, il Manifesto fu un urgente richiamo diretto a tutti gli scienziati, affinché si riunissero per discutere sul modo di sventare la minaccia della guerra nucleare. Lo spirito del Manifesto si incarnò, nel luglio del 1957, nella cittadina di Pugwash, in Canada, in una conferenza che riunì ventidue scienziati di dieci nazioni diverse, compresi i Paesi del blocco orientale come l’URSS e la Polonia.

Rotblat è il primo segretario generale delle “Pugwash Conferences on Science and World Affairs” che svolse un ruolo molto importante per la comunicazione e il dialogo fra gli scienziati dei blocchi contrapposti. Gli incontri successivi fra gli scienziati contribuirono alla ratifica del “Trattato di non Proliferazione Nucleare” (TNP) del 1968 ed entrato in vigore nel 1970.

Nel 1995, a cinquanta anni dalle tragedie di Hiroshima e Nagasaki, Rotblat riceve il premio Nobel per la pace insieme alle Pugwash Conferences.

Ricevono questo premio con questa motivazione: “per i loro sforzi per diminuire il ruolo delle armi nucleari nella politica internazionale e, nel lungo periodo, per eliminare tali armi”. L’assegnazione del premio costituisce anche il “riconoscimento della responsabilità degli scienziati nei confronti delle proprie invenzioni”.

La domanda che oggi risuona per noi è ancora quella di Robert Oppenheimer: “Se la bomba atomica doveva avere un significato nel mondo contemporaneo, doveva essere quello di dimostrare che non l’uomo moderno o i suoi eserciti, ma la guerra stessa era obsoleta. Cosa si può fare con questo terribile sviluppo per renderlo uno strumento per la conservazione della pace?”

Nessuno può sottrarsi a dare la propria risposta. La storia di Rotblat è la storia di una coscienza che non si è sottratta all’impegno e alla responsabilità.

Insieme gli sforzi di ognuno daranno vita ad un impegno collettivo ineludibile.

“Per decenni non si è fatto nulla ma ora non c’è più tempo da perdere: le armi nucleari sono “kamikaze globali” che potrebbero colpire tutti. Sono state create in maniera collettiva, perciò anche la loro totale eliminazione dalla storia dovrà nascere da uno sforzo allargato, in cui tutti (persone, comunità, istituzioni) sono chiamati a dare il proprio contributo” (F. Vignarca).