Le chiese e la difficile ricerca di una soluzione che metta fine alla guerra in Ucraina

Piera Egidi Bouchard (da Riforma 10/23)

Che cosa avrebbero fatto, che cosa avrebbero detto di fronte alla tragedia di questa guerra Russia- Ucraina i nostri antenati nella fede e nella politica, quella generazione di maestri che avevano vissuto gli orrori della II Guerra mondiale, l’occupazione nazista, lo sterminio degli ebrei, i campi di deportazione e l’impegno nella Resistenza? Quella generazione che aveva scritto la Costituzione democratica, che aveva fondato l’Unione Europea, che aveva detto «Mai più guerra!». Mi domandavo queste cose mentre marciavo con altre migliaia per le strade di Torino nella grande “Fiaccolata per la pace” del 24 febbraio, a un anno dall’apertura delle ostilità. E intanto marciavano nelle maggiori città italiane ed europee, convinti che eravamo ben poca cosa, che certo eravamo impotenti di fronte alle decisioni dei grandi della terra, alla violenza e all’orrore di carri armati, di aerei da combattimento, di bombe e mitraglie, che venivamo accolti con scetticismo come “anime belle”, ma intanto marciavamo. Ma che si fa se vedi due che si randellano a morte? Cerchi di separarli. Questo potevamo fare, scendere in piazza, sventolare bandiere, gridare Pace! Pace!, chiedere un cessate il fuoco, almeno, e i negoziati, interrompere da subito quella mattanza di giovani sia ucraini sia russi – già 250.000 i morti, una città.

E intanto si moltiplicano tante micro-iniziative, di cui a malapena in piccoli circuiti si ha qualche barlume di notizia, e che non arrivano certo ai grandi giornali e tg, fin dall’inizio schierati in una sola dimensione di “guerra giusta”, senza storia, senza senso critico, senza equilibrio – perché la storia sembra iniziare solo da quel fatto incontrovertibile del 24 febbraio, cioè l’aggressione russa all’Ucraina – nel prolungamento pluridecennale di un’ottica da Guerra fredda, che ora purtroppo è diventata calda, caldissima. E se provavi a dire anche le ragioni storiche del nemico, subito eri un utile idiota, un imbelle pacifista, un filo-Putin, in discussioni senza fine: come davanti al fascismo si è rischiato di spezzare antiche amicizie.

Ma come fai ad aprire un dialogo di pace se tutti i torti sono solo del “nemico”? Lo puoi solo vincere, schiacciare, così grida l’Occidente di escalation in escalation, e non sa che il “nemico” farà sbudellare i suoi giovani a uno a uno, perché questa è la sua identità e la sua storia, e persino la sua fede: di fronte a Hitler i russi sono morti in 25 milioni, senza il loro sacrificio avremmo ancora il nazismo, e sono morti a milioni contro Napoleone, facendo piuttosto terra bruciata di tutto – e anche ora sarà un eccidio reciproco fino all’ultimo uomo o donna o bambino, fino all’ultima maceria… Bisogna rileggere la grande letteratura russa per capire l’anima di questo popolo. E intanto, tra un invio di armi sempre più sofisticate, sempre più letali, stiamo pericolosamente danzando tutti sull’abisso del nucleare. E quanti scienziati e fisici di tutte le nazioni ci hanno ammonito dal dopoguerra a oggi, e quanti Premi Nobel? Dimenticato tutto in un vortice di folle autodistruzione?

Ma le formichine anche nelle nostre chiese continuano il loro incessante lavoro, per ritessere i fili della pace. È il recente incontro indetto dall’Associazione delle chiese battiste della Lombardia, che già da ottobre ha promosso l’iniziativa ecumenica e interreligiosa (ci sono pure i buddisti) dal bel titolo «Verrà la pace e avrà i tuoi occhi» – perché i battisti, eredi di Martin L. King, sanno marciare – ripresentando un grande testimone di pace, il pastore valdese Carlo Lupo*, che visse la I Guerra mondiale (il grande macello), le trincee, la tragica ritirata di Caporetto, fu gravemente ferito alla testa da un schrapnel e reso invalido per sempre, ma ebbe – lui buddista – una profonda conversione alla fede cristiana, divenne pastore, e riuscì a evangelizzare, a salvare molti ebrei nella Resistenza, a collaborare con Tullio Vinay per la pacificazione nel dopoguerra con la costruzione di Agape, tanto che a lui fu affidata la predicazione nel giorno dell’inaugurazione. Sì, sono convinta che i Carlo Lupo sulla sua sedia a rotelle, i Tullio Vinay che tanto si batté contro la guerra in Vietnam, e i loro allievi della generazione più giovane sarebbero stati in piazza a marciare con noi, a sventolare le bandiere della pace e a gridare “Tacciano le armi”.