Domenica 19 marzo 2023 durante il culto presso la Chiesa Battista di Casorate Primo è stata presentata la nascita dell’Associazione “Che siano tutti uno”.

Questa iniziativa nasce da una visione condivisa e maturata nel tempo e aderisce ai principi inalienabili di solidarietà e servizio alle persone emarginate e in condizioni di disagio sociale.

In effetti, si tratta di un progetto interdenominazionale che prevede la formazione di “una squadra Diaconale” in conformità con gli obiettivi individuati e delineati nel corso degli anni che ha permesso di mettere meglio a fuoco l’iniziativa, nonché di facilitare la condivisione con le diverse maestranze ecclesiali rappresentate, concentrato sul territorio vigevanese, comprende alcuni membri delle Chiese evangeliche dislocate sul territorio lombardo. La riflessione in materia è nata nel 2020, prendendo progressivamente corpo grazie ai contributi di fratelli e sorelle interessati all’azione diaconale e decisi a costituirsi in questo campo in team operativo. Al centro del nostro interesse è posta una accurata attenzione ai bisogni dell’essere umano in tutte le sue forme, cioè olisticamente1 inteso, che ci consenta di promuovere dinamiche relazionali   accoglienti   in grado di diffondere serenità e sicurezza, attraverso la creazione di legami di amicizia basati su un rapporto di fiducia e sincerità, essenziali per trasmettere calore affettivo e benessere spirituale.

Questa è la ragione che ci ha spinti alla costituzione di una “Associazione mobile”, accogliente e inclusiva, che abbia come guida programmatica l”unità nella diversità”, composta da coloro che coltivano valori cristiani e universali in forma laica, scevra da ogni ideologia e/o campanilismo denominazionale.

È nella nostra principale intenzione anche occuparci, periodicamente, dell’assistenza spirituale nel carcere vigevanese, ove i reclusi fanno parte della + “strada della vita”, durante il cammino della quale a causa di errori commessi e di scelte sbagliate si trovano a vivere in condizioni di forte disagio.

Tale prospettiva, infatti, ci sembra esprimere al meglio il concetto configurato nell’espressione “una Chiesa fuori dalla Chiesa”, formata da fratelli e sorelle provenienti da diverse realtà ecclesiali, impegnati a realizzare un’opera “missionaria sociale” di strada, ispirata e stimolata da modelli operativi emersi a più riprese nel corso della storia della Chiesa, fonte di inesauribile ricchezza da cui apprendere esempi utili per il lavoro diaconale arricchito da un atteggiamento creativo in misura di suscitare interesse e fiducia nei destinatari.

Ci sembra pertinente il testo di una canzone degli anni ’70 di Giorgio Gaber2, dal titolo C’è solo la strada3, che ci sollecita a non rimanere chiusi nella routine del nostro microcosmo familiare ed ecclesiastico, ma ad allargare i nostri confini coltivando e stimolando l’incontro e la partecipazione nei luoghi pubblici. In poche, semplici ed accorte parole, Gaber mette a fuoco quello che cerchiamo di delineare come “appello della strada per una Chiesa evangelica”. Pertanto, appare interessante, esporre alcune strofe   molto perspicaci nel comunicare un messaggio altruistico e diaconale: “C’è solo la strada su cui puoi contare / La strada è l’unica salvezza. C’è solo la voglia / il bisogno di uscire di esporsi nella strada, nella piazza. Perché il giudizio universale / Non passa per le case / Le case dove noi ci nascondiamo Bisogna ritornare nella strada / Nella strada per conoscere chi siamo”. In effetti, i nostri stereotipati comportamenti individualistici, diventano talvolta, infatti, luoghi comuni nei quali ci chiudiamo disattendendo le richieste di aiuto che ci giungono dai nuovi e antichi bisogni prodotti dalla nostra società, indubbiamente stanca e forse malata.

Ritornare a essere Chiesa nella strada significa anche riconoscere, riscoprire la nostra origine cristiana e lo scopo per il quale esistiamo: una Chiesa non statica, ma dinamica che faccia non solo del discepolato, ma anche della diaconia sua ragione di vita, per offrire assistenza concreta attraverso l’amore di Cristo.  Abbiamo conosciuto il Cristo non come qualcosa da tenere gelosamente solo per noi stessi, bensì per condividerlo e farlo conoscere agli altri tramite azioni concrete di umanità. Questa è la prospettiva all’interno della quale ci sentiamo di agire, con il proposito di integrare eventualmente in corso d’opera altre organizzazioni umanitarie impegnate a creare nuove opportunità a vantaggio dei più vulnerabili. Ci pare stimolante quanto Alberto Taccia espone nella prefazione al saggio di Jürgen Moltmann sulla diaconia: “Da qui la necessità di creare e costruire un nuovo concetto di società: una comunità che guarisce, terapeutica, che anziché discriminare ed emarginare, include, integra, partecipa, condivide. Una comunità che, prima di dare aiuto e assistenza, è capace di dare amicizia e amore”4. Questo ci consente di considerare la vita sociale come una ”casa comune” nella quale gli attori, animati da uno spirito di solidarietà e mutuo soccorso, progrediscano nel diffondere benessere, contrastando le marcate disuguaglianze che producono ingiustizie e sofferenze.

Si configura in tal modo una ”utopia realizzabile” (titolo di uno dei tanti saggi pubblicati da Friedman Yona5), ossimoro che ci sembra paradossale, ma in realtà non lo è nella misura in cui coinvolge – attraverso l’impegno e il comune intento di un insieme di persone – una realtà limitata nel  tempo  e  nello  spazio,  ma  tesa  ad  estendersi  costantemente  per  trasformare  una  società individualista,  in  una  comunità  attenta  alle  necessità  del  prossimo  ove  trovi  luogo  il  ”grande comandamento” espresso da Gesù nell’indicare la strada: “Ama il tuo prossimo come te stesso”6.

Scafuro Raffaele, membro chiesa battista Vigevano Presidente dell’Associazione

NOTE:

1    Per il saggista H. J. Clinebell “la dimensione olistica nell’ambito relazionale si raggiunge nel seguente approccio: la relazione di aiuto deve essere completa (holistic), cercando di rendere possibile la guarigione e la crescita in tutte le dimensioni dell’integrità umana. L’obiettivo fondamentale della relazione di  aiuto è così definito: facilitare al massimo lo sviluppo delle potenzialità di una persona in ogni tappa della sua vita, in modo da contribuire alla crescita degli altri e per lo sviluppo della società in cui ognuno avrà l’occasione di poter utilizzare tutte le sue potenzialità aiutando le persone a realizzare la liberazione delle loro prigioni di vita senza esistenza, delle loro disponibilità inutilizzate e delle loro forze sprecate: il processo con cui le persone si liberano da se stesse per vivere una vita più piena e significativa. La salute mentale-spirituale-relazionale è il continuo movimento verso una vita più piena, più gioiosa e produttiva”. (cit. da GENRE E., Nuovi Itinerari di Teologia Pratica, Claudiana, Torino, 1991, p. 151-152)

2    “Da  molti definito l’illogico utopista, l’instancabile pensatore, l’artista dell’azione, il cantautore italiano dallo smodato desiderio di offrire al suo paese sani dubbi su cui riflettere ha parlato in diversi suoi album anche della famiglia in ogni sua sfaccettatura, mostrandone limiti e potenzialità, fino a sviscerarne i profondi significati che essa riveste nella società. Questo “filosofo ignorante” (così si è definito), capace di far ridere e piangere al contempo il suo pubblico alternando serietà e ironia, ha scrutato gli angoli più nascosti di sé stesso e della sua Italia, dedicando la sua intera carriera ad un incessante processo di ricerca da condividere con la propria generazione e soprattutto con i giovani”. (Iltimoniere.it di Eleonora Gioveni, febbraio, 2019)

    Compositori, GABERSCIK G., LUPORINIA.,1974/1975.

4     MOLTMANN J., Diaconia, Il servizio cristiano nella prospettiva del Regno di Dio, Claudiana, Torino, 1986, p. 9

5   ‘Utopie realizzabili” (scritto nel 1974) si presenta come un’apparente contraddizione in termini. Eppure, avverte Friedman, credere in un’utopia ed essere contemporaneamente realisti non è una contraddizione, ”un’utopia è, per eccellenza, realizzabile” a condizione di ottenere il necessario consenso collettivo perché un’utopia imposta con la forza non è più tale. Un’utopia generosa e non paternalistica non può essere organizzata da una massa: solo i piccoli gruppi possono farlo perché solo al loro interno la comunicazione diretta è efficace: ”La comunicazione generalizzata è quindi possibile solo quando i fatti da comunicare sono già noti a tutti in precedenza; non è possibile per propagandare idee nuove”. La critica radicale della comunicazione globale – abbozzata ben prima dell’avvento di Internet – e la teoria del “gruppo critico”, argomentate con un linguaggio piano e razionale, sono forse i risultati principali di questo studio che oltre alla teoria offre delle regole per la sua applicazione. Dopo tutta la fiducia di Friedman quasi messianica nei piccoli gruppi di oggi, che saranno le maggioranze del futuro, riflette quanto aveva già costatato Robert Musil: ”ma un’utopia ha pressappoco lo stesso significato di possibilità. Il presente non è altro che un’ipotesi ancora non superata” (FRIEDMAN  Y., dalla presentazione editoriale di ”Utopie realizzabili”, Quodlibet, 2016, www.quodlibet.it)

6     Mt.22, 39